The Big Yellow

Acrylic on paper with newspaper, 2021

La vita è un grande giallo, The Big Yellow. Le sue domande, tante, le sue risposte, poche, il suo perché, ignoto. La strada percorsa dalla scienza per uscire dal vicolo cieco del Positivismo non passa soltanto attraverso le negazioni filosofiche. Il principio di molteplicità delle rilevazioni esperienziali, soprattutto nel campo della fisica quantistica, hanno portato a un approccio dubitativo: non si possono riconoscere veritiere e assolute leggi che si assoggettano a restare valide per più esperimenti e per diverse condizioni: “The unknown terrifies me!”. E questo assunto, questa sensazione, diviene “caposaldo dell’esistere”. È caratteristico di tutta la filosofia contemporanea il rifiuto di credere ad una realtà compatta, limitata e circoscritta in tutte le sue parti, senza possibilità di dispersione o di ripensamenti, senza scosse e senza problemi. Felix, oltre a rappresentare il gatto di Schrödinger, intrappolato in un “senso non logico”, rappresenta anche l’“io” e la nostra stessa esistenza e, con essa, i nostri limiti. Lui è “Felix”, felice in latino, e lo é nel senso stoico esistenziale. Perché lui è anche triste, è vincitore e vinto, è sereno e angosciato, ma ha scelto la “resilienza” per vivere, urtandosi senza rompersi, vivendo felicemente anche in assenza di risposte alle sue domande più profonde, scegliendo di costruirsi rinunciando a trovare il vero senso della vita. Ha scelto di vivere come semplice atto di “esserci” nel “tempo”, in una realtà limitata, perché fine a sé stessa e perché circoscritta alla nostra percezione non oggettiva dei fatti. L’incertezza fa parte della nostra esistenza, infatti, non solo del mondo quantico: è il mondo stesso ad essere “stocastico”(cioè definito dal caso). Molto di più di quello che pensiamo, molto di più di quanto noi stessi possiamo avvertire; e, l’ignoto, si lega al conosciuto attraverso una linea sottile e non riconoscibile. Felix è nero. Felix, col suo colore nero, rappresenta l’angoscia, l’ansia del divenire. Il nero è il colore della notte, quindi il momento in cui si fanno largo inostri pensieri più oscuri. Il gatto nero è la rappresentazione più azzeccata di noi stessi, perché di noi ha radicato il lato oscuro e indecifrabile dell’esistenza. Ma Felix è anche “pop”, perché, proprio come noi, sente il bisogno di togliersi di dosso il peso del mondo, di sfilarsi il suo vissuto, tremendamente emotivo, mutevole ma spesso sempre uguale e strutturato. In un certo senso troppo strutturato, ma totalmente destrutturato quando si trova davanti alla vita in sé stessa, che é una vita totalmente “sospesa”. L’angoscia é esperienza originaria, inevitabile e fondamentale, quasi ancestrale, ma Felix sorride proprio come atto esistenzialistico; un atto stoico. Uno stoicismo attivo e non subito che con la vecchia scuola greca ha in comune solo l’atto del reggere senza arrendersi; l’ amor fati è però opposto, in quanto il destino diventa esso stesso una “nostra missione”, una missione da “compiere”. Il destino, va sì accettato, ma in quanto “mio”, commesso e compiuto, perché respingerlo sarebbe come non amare sé stessi. Il destino non è compiuto insomma ma da compiersi, non è scritto ma da scriversi, “scegliendosi” nelle miriadi possibilità di vite possibili. È puro indeterminismo. Felix, come l’uomo moderno, “si” sceglie, nel senso di “scegliere se stesso”: l’uomo non deve avere schemi morali e mentali ma deve accettare l’arbitrarietà della vita, definita dall’estrema incertezza; esso accetta l’inaspettato perché l’uomo “vive per vivere”: è inutile buttare l’estrema incertezza in scatole preformate che non sono in grado di inglobare la molteplicità degli aspetti del mondo e che ci danno solo il miraggio di averlo compreso solo ed esclusivamente perché siamo riusciti a limitarlo in stereotipi e cliché che abbiamo adattato alla nostra visione del mondo, senza accorgersi, peraltro, che è solo e unicamente la “nostra” visione di mondo.

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