The Big Colored

Acrylic on paper with newspaper, 2021

The Big Colored, L’ Esistenzialismo è concentrato sul carattere lacerato dell’esistenza umana, un’esistenza compressa tra la ricerca di senso e l’ assenza di senso e fra la possibilità di vivere e l’ impossibilita di vivere, il significato e la natura della libera scelta, la struttura della noia e il sentimento esistenziale dell’angoscia.
Il punto di partenza dell’Esistenzialismo è una rottura , quella con l’ ottimismo ottocentesco, un ottimismo figlio, tra le altre cose, dell’ Idealismo tedesco di Schelling e del Razionalismo di Fichte, quello stesso razionalismo scientifico metodologico che poi divenne tipico del Positivismo; era l’ ottimismo classico del mondo borghese, dell’economia capitalista, in cui il perbenismo e il senso del profitto generarono proprio una “manière d’ ètre”, grazie appunto al vivere, beatamente, in luoghi dominati dall’ armonia e dal Progresso. Ma è nelle guerra che si è scritto l’epitaffio dell’ottimismo borghese e del Positivismo acritico, poiché la scienza del Progresso non è bastata a salvare l’uomo dagli altri uomini. Homo Homini Lupus. La scienza ha mostrato il suo doppio volto. E questo vale tuttora, non ne siamo totalmente consapevoli ma ciò che valeva allora, vale ancor di più nella nostra epoca.
Era l’inizio del 1930 quando Jean Paul Sartre, insieme a Simone de Beauvoir e Raymond Aron, parlava della sua passione per la libertà, davanti ad un cocktail; ma non siamo andati molto lontano, da allora, o meglio, ci siamo andati ma senza fare affidamento a quei grandi mezzi che questo approccio filosofico ci ha donato, e, quindi, abbiamo fatto passi fasulli, inconsapevoli di essere stati fermi: dovremmo iniziare a pensare il presente attraverso l’Esistenzialismo ovvero riappropriandoci dei suoi strumenti per riflettere su temi che oggi sono urgenti, temi come post – colonialismo, contraddizioni e ipocrisie borghesi, femminismo e capitalismo digitale. Solo riprendendo le questioni che hanno portato alla nascita dell’Umanesimo come, per esempio, la definizione di “senso dell’esistenza umana” e la consapevolezza dei “limiti dell’uomo” anche nel suo rapporto con gli altri, con la natura e col mondo, potremmo riuscire a tradurre il presente in una lingua comprensibile.
Ma che cos’è la libertà? La libertà di scelta è un’immensa responsabilità che si può sia nobilitare sia far naufragare: l’uomo è infinitamente libero. Di essere felice, o anche di non esserlo, di scegliere il bene, o anche di scegliere il male, è libero addirittura di non scegliere: l’uomo è drammaticamente libero. Il tema dell’uomo gettato nel mondo sarà poi l’uomo di Martin Heidegger e della sua “Verfallenheit”; la “deiezione”, ovvero la “cosificazione”, il “diventare cosa”, il “palesarsi”, ovvero l’ “Esserci” e quindi l’ “Esistere” dell’uomo nel suo crudele “essere buttato dentro ad un mondo a lui sconosciuto”. “Verfallen”, in tedesco significa, appunto, “cadere”, pertanto la parola Verfallenheit assume un significato traducibile in italiano con “gettità”: l’uomo è un umano scaraventato in un posto a lui ignoto. Ci arriva senza saperlo, in modo estremamente gratuito ed è l’unica cosa che può scegliere di non fare, e, per di più, ne scopre l’esistenza e la portata soltanto crescendo. L’uomo è un uomo libero, ma buttato nel mondo senza una mappa; è proprio in questo che l’uomo diventa uomo: esso “è” nelle sue limitazioni, nelle sue debolezze e nelle sue tragicità, nel suo non senso, nelle sue non risposte.
Dovremmo forse nasconderci dietro false ideologie per trovare un significato? È preferibile davvero qualsiasi tipo di antidoto piuttosto dell’ accettazione del veleno? È conveniente aderire a qualsiasi tipo di “unless sophism” piuttosto che alla pura accettazione? È, inoltre, la negazione del dolore e la ricerca compulsiva alla sua limitazione oppure è l’ ammissione della sua esistenza e la scelta di viverlo la chiave con cui guardare il mondo? Che cosa rende un uomo, in principio, un uomo? Che cosa lo fa rimanere ancorato alla sua esistenza? É il “risollevare il sasso”, per dirla con Camus, è il riprovarci, sempre e comunque, pur rimanendo intrappolati in un assurdo gioco non – sense; l’uomo ci prova, e riprova, e ci riprova ancora, stoicamente: noi siamo obbligati a giocare perché è in questo machiavellico gioco che si trova l’essenza della vita umana. L’uomo, inoltre, deve essere in sommossa contro i dogmi metafisici e contro la realtà; esso deve vivere contro: l ’uomo che si ribella si trasforma in un uomo nuovo che non accetta e fa della rivolta un atto costitutivo; ribellandosi esso dichiara di “esserci”; è nella lotta per il senso della vita che sta il senso della vita stessa e non nell’accettazione passiva di sensi altrui, imposti. L’uomo è portato per natura alla ricerca di senso, ma, alla fine, non c’è nulla che possa dissetare questa sua sete; non c’è un banchetto imbandito, e dunque, in lui, nasce una decadente lacerazione. “What led us to prefer Venom to antivenom?”: l’esistenzialista accetta il veleno dell’esistenza senza curarsi con nessun antidoto. L’esistenzialista accetta il caos, una vita di possibilità, accetta il potenziale, il caso, ne sente il peso ma abbraccia la responsabilità della scelta come atto costitutivo, nel bene e nel male. Nessuna morale, nessun pre – giudizio, nessuna ontologia,nessun fatto se non interpretativo, d’altra parte come diceva Friedrich Nietzsche, “i fatti sono stupidi” (bètise) in quanto essi sono “interpretati” tramite una deformazione fatta dal pensiero, che non riguarda ovviamente pseudo-oggettività ma è soggettività pura. E allora perché, se nessuno ha il diritto di giudicarmi, io devo sottostare ad una morale arbitraria? Perché non seguire l’esistenza, nella sua apparente gratuità e assurdità, e fare come lei, agire senza scopo e senza veti? La libertà segue al non senso di esistere ed è il dono più prezioso che il caso potesse farci: noi non siamo obbligati o destinati, ma creatori del nostro mondo. Come ci giochiamo questa unica chance di esistere? Come gestiamo la responsabilità di tale privilegio?

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